Abbiamo chiesto ai nostri autori di raccontarci qualcosa - l'aneddoto di un viaggio, una città visitata, una curiosità o una storia divertente - che possa aiutarci a viaggiare con la mente in questi giorni di quarantena forzata.

Lorenzo Franchini ci consegna un racconto fotografico del suo viaggio attraverso l'intera Patagonia sulla famigerata Ruta40.



La strada ci porta ad attraversare una zona desertica davvero affascinante, del tutto diversa dalla steppa cespugliosa incontrata ieri. Il paesaggio è caratterizzato da formazioni rocciose scure, quasi nere, che si stagliano in una distesa di polvere rossastra che ricorda panorami di un altro pianeta.

La zona è estremamente desolata, a testimoniarlo le carcasse di animali morti di stenti poco oltre il ciglio della strada. Stiamo viaggiando lungo la RN237, un’ampia superstrada dove si incrociano ben pochi veicoli. Il panorama è suggestivo nella sua asprezza e si resta letteralmente senza fiato quando, giunti sul punto più alto, si vede la strada scendere verso l’ampio bacino del lago artificiale formato dalla diga Ezequiel Ramos Mexia. Le acque del lago riflettono come uno specchio il colore del cielo, accentuando la sua incredibile tonalità blu cobalto, resa ancor più clamorosa dal contrasto con la sabbia rossastra del paesaggio circostante.

La strada lentamente sale di quota ed esce dal riparo offerto dalle colline fino ad arrivare a quasi 1200 metri di altitudine, dove attraversa un altopiano spazzato da un fastidioso vento laterale che ci getta addosso folate cariche di sabbia. Ci sono cespugli estirpati che rotolano sospinti dal vento e ci attraversando la strada, proprio come nei film con i cowboy che vedevo all’oratorio da ragazzino. Le raffiche di vento a volte soffiano in senso contrario e altre lateralmente, a tratti sono talmente forti da essere costretti a scalare di marcia per vincerne la resistenza, viaggiando “in piega” anche quando la strada è perfettamente lineare.

Finalmente avvistiamo in lontananza la catena delle Ande, con le cime più alte ammantate di neve. Nei prossimi giorni seguiremo la famigerata catena montuosa viaggiando alle sue pendici per centinaia di chilometri. Abbiamo la strada a nostra totale disposizione, e pur viaggiando in gruppo quando aumenta la distanza tra noi non vedi più nessuno all'orizzonte o negli specchietti e la sensazione è quella di fare una traversata in solitaria.

Incontro un sorridente gaucho baffuto che porta il caratteristico cappello nero con la tesa. Con lui sono anche due ragazzini, un maschio e una femmina, dai lineamenti distintivi delle popolazioni indigene. Alfredo fotografò quelle tre persone e ne venne una bellissima istantanea. Riguardandola trovo in quella foto molti dettagli che mi fanno tornare a rivivere le sensazioni di quel particolare momento. Innanzitutto, quelle tre persone che, con i loro tratti somatici e il copricapo dell’uomo, fanno subito intendere che la foto è stata scattata in Sud America. Di sfondo la collina rocciosa dello stesso monotono colore della polvere e del pietrame in mezzo al quale vivemmo quei giorni di viaggio. Si vedono le fronde degli alberi strapazzate dal vento e guardando con attenzione si nota che ad ogni finestra c’è qualcuno che scosta le tende e guarda fuori, incuriosito dal nostro passaggio. Un'immagine che è riuscita a cogliere alla perfezione l’essenza di un preciso attimo del nostro fantastico viaggio.

Dopo cena ci attardiamo a chiacchierare sorseggiando un’ultima Quilmes. Grazie a Danièl che fa da interprete, il padrone dell’albergo ci racconta di un motociclista solitario che tempo prima, mentre viaggiava a velocità moderata a causa del fondo stradale sconnesso, a un certo punto si accorse di qualcosa che correva accanto a lui. Era un guanaco che, incuriosito, si era messo a corrergli di fianco. Il guanaco è un animale molto affine al lama, una sorta di parente sudamericano del cammello, un erbivoro tutto sommato tranquillo, ma lo sventurato motociclista per la sorpresa perse il controllo della moto e cadde a terra. Di guanachi ne abbiamo poi incontrati diversi lungo il cammino, una presenza simpatica che a noi non ha creato mai alcun problema.



L'autore: Lorenzo Franchini

Lorenzo Franchini è nato a Varese nel 1963 e ad oggi vive in un piccolo paese della Valceresio. È grafico pubblicitario e nel suo laboratorio realizza insegne e decorazioni per veicoli. Oltre ad essere un appassionato vespista adora leggere, e scrive per diletto. Coniuga queste sue passioni curando due blog di sua creazione: “Chilometri di Parole in Vespa”, dedicato alla narrativa vespistica, e “VespArtNews”, finalizzato alla promozione di espressioni artistiche e culturali legate alla Vespa. Dal 2010 collabora con il magazine Mototurismo, per il quale scrive articoli a tema Vespa e viaggi. Scrive anche dei racconti, alcuni dei quali sono risultati vincitori di contest di livello nazionale. La sua ambizione è quella di riuscire un giorno a veder pubblicata una raccolta che li riunisca tutti quanti. Dove il mondo finisce è una nuova edizione, rivista e migliorata, del suo primo libro, “Hasta la fin del Mundo...in Vespa!”