Otto scatti, otto impressioni. Perché in India non si viaggia, "si precipita".
Dopo aver pubblicato nel gennaio 2019 il suo libro "Le forme dell'India", Silvio Grocchetti ripercorre i suoi passi nella sacralità e nelle sfaccettature del paese del Gange facendo parlare otto fotografie scattate durante il suo viaggio. Vivere e non solo visitare l'India significa infatti essere pronti a spogliarsi dei preconcetti, rimettersi in discussione e rivedere ogni pensiero acquisito, magari con dolore, ma con assoluta onestà.
Stazione di Varanasi
Nella città vecchia a Varanasi ci si sente in trappola: il labirinto di vicoletti di poco più di un metro di larghezza, i buoi che pascolano in solitudine sul selciato, le botteghe che aggettano sui vicoli con la loro composita mercanzia, le motorette fumose che strapazzano il clacson per zigzagare tra la folla. L’odore pungente di urina e spezie sale caldo tra le scanalature e i calderoni delle botteghe.
Scorcio di palazzine
Le palazzine incastrate le une sulle altre e i templi antichi si gettano a capofitto sull’ipnotico sciabordio del Gange.
Mother Ganga
Nel Mother Ganga, come si riferiscono al fiume da queste parti, i pellegrini d’ogni angolo dell’India si tuffano, si lavano, sguazzano. Lungo i quattro chilometri in cui la città si fonde con il fiume, torme di indù giacciono a mollo nell’acqua color ocra, alle volte si avventurano in un paio di timide bracciate, di solito tentano invano di agguantare l’acqua con il palmo delle mani e premerla contro la propria pelle, quasi questa possa impregnarsi della sua sacralità.
Bagnante
Immersi
Per millenni gli indù si sono riversati a Varanasi perché la morte li accogliesse. La ragione è il Moksha, la liberazione.
Secondo la tradizione, infatti, esalare l’ultimo respiro a Varanasi e avere le proprie spoglie cremate in uno dei ghat, significa spezzare il Samsara, il ciclo delle rinascite, per raggiungere il Nirvana, l’unione con l’infinito.
Non sorprende, dunque, che la città e i suoi ghat siano mete ambite. Nel corso degli anni sono sorte alcune case di accoglienza per coloro che raggiungono Varanasi con l’unico intento di guadagnare il Moksha. Anziché abbandonarli per strada, questi centri di accoglienza forniscono loro un letto, del cibo e un tetto sotto cui trovare rifugio.
In bici
Riposo
Mumukshu Bhawan è uno di questi centri. Fondato negli anni venti del XX secolo, può dare alloggio a un massimo di trecento persone.
La struttura è conquistata da un silenzio pervasivo: la sarabanda della città non vi penetra e gli unici suoni udibili sono i fruscii degli animaletti nell’erba alta, il lento trascinarsi di un inquilino lungo il porticato, a piedi scalzi, con il capo chino in riflessione.
Gli inquilini sono per di più sdraiati sui materassi esterni: c’è chi dorme a petto nudo, chi legge un giornale e chi medita nella posizione del loto. Tutti con un unico anelito: spirare sulla riva del Mother Ganga.
Il serpente della sera
Soprattutto di sera, quando pochi lumicini rischiarano l'atmosfera, molti dei quali provenienti da pire ardenti, il Gange sembra un maestoso serpente che, sornione e ieratico, striscia lento su un vasto greto. Se non fosse per la vegetazione che ne adorna il dorso e si intravede spostarsi, non si direbbe che scorra. Sembrerebbe immobile, in stasi, austero guardiano delle vite di una città brulicante, del suo popolo e dei suoi riti.